In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
Commento al Vangelo
Al tempio due persone, un fariseo e un pubblicano, uno ritenuto pubblicamente un peccatore e una brava persona. Nel nostro oggi possiamo pensare a due che si ritrovano in chiesa contemporaneamente, uno che pubblicamente è noto come gran peccatore e uno che da tutti è considerato gran brava persona dal punto di vista della fede. Perché Dio giustifica SOLO il pubblicano? Perché lui apre la porta a Dio, mentre l’altro non permette a Dio di donare a piene mani la sua misericordia. Il suo amore è per tutti, ma se noi non ci riconosciamo bisognosi del suo abbraccio, lui non ci fa violenza. Siamo tutti peccatori e bisognosi del suo perdono. La presunzione di essere giusti ci fa chiudere la porta alla misericordia, ci fa stare in piedi davanti al Signore, ci fa sentire autosufficienti e non bisognosi di salvezza, incapaci di cantare, lodare e ringraziare la magnanimità di Dio. In pratica è come fare a meno di Dio, dei suoi doni, del suo immenso amore, convinti che la salvezza sia un nostro frutto, una nostra conquista. La parabola ci ricorda che tutti siamo peccatori (anche chi si ritiene giusto), ma parla anche della necessità di riconoscerlo per poter aprire le porte a Dio, ci invita ad essere umili. Ci è di esempio Maria che proclama il Magnificat riconoscendo la sua piccolezza e l’impossibilità a fare grandi cose se non è il Signore stesso ad intervenire.
A cura dell’Ufficio catechistico diocesano





